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Vacanze tirolesi: gli alpaca mi fanno ciao | Seefeld in Tirol


Stamattina:
- mi sono svegliata alle 8.15;
- ho imprecato contro il termometro di casa che segnava già i suoi sacrosanti 30°;
- ho fatto colazione con quello che ho trovato nel frigo, ovvero un panino col salame avanzato dal viaggio in auto di ieri;
- ho perso una decina di diottrie inzuppandomi gli occhi di shampoo;
- ho guardato con disgusto i libri di Relazioni Internazionali che, dalla scrivania, mi fissano già minacciosi, ricordandomi che devo rimettermi a studiare, poiché qualche furbastro ha inventato quella tortura chiamata sessione autunnale;
- l'unica nota positiva è stata scoprire di avere una scatola piena di pile pronte a sostituire quella del mio mouse, che è morta circa un mesetto fa. 

Fino a ieri
- l'obiettivo della mia giornata era impegnarmi per restare a letto oltre le 10 di mattina;
- uscivo in terrazzo a salutare le Alpi austriache e benedicevo l'arietta fresca e i 25° gradi al sole;
- facevo colazione con... beh, quello che trovavo, sì, ma era sempre meglio di un tristissimo panino umidiccio;
- la mia doccia nel mio bagno nella mia camera (in seguito capirete il perché di tutta quest'enfasi) era così bella e moderna che perfino lo shampoo preferiva spalmarsi sulle sue lucide pareti, piuttosto che avventurarsi nei meandri dei miei occhi;
- libri? Esami? Università? Dehehe #no. 
- l'unica nota negativa era che giornate di sole 24 ore erano troppo brevi per tutto lo spudorato niente che avevo intenzione di fare. 

Ebbene sì, ciurma. Ieri pomeriggio sono rientrata a casa dopo una splendida settimana a Seefeld in Tirol, in cui ho potuto gustare i mille sapori del dolce poltrire. Non serve che vi dica che l'impatto con l'Italia è stato traumatico, vero? Mi è bastato scendere in un autogrill nei pressi di Bolzano per pentirmi amaramente di non essere rimasta tra la montagne austriache. 38°? Ma che, scherziamo?! 

Come ormai saprete, fino all'anno scorso era abitudine mia e della mia famiglia partire verso la fine di luglio e passare 20 o 25 giorni a vagabondare per il globo. Solitamente la nostra destinazione era il Nord America, Canada o Stati Uniti. Questa volta, però, per un motivo o per l'altro (esami, impegni di lavoro, la mia salute che si prende gioco di me) abbiamo scelto di non andare lontano e, soprattutto, di trovare un posto che ci consentisse di riposarci e rimetterci in sesto. 

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Girovagando su Booking.com, ho trovato un hotel che mi ha conquistata subito: l'A-Vita Viktoria. Okay, precisiamo: non si tratta di un hotel nel senso tradizionale del termine, quanto piuttosto di un complesso di una decina di appartamenti, moderno, dotato di ogni comodità e incredibilmente, splendidamente tranquillo. Le tariffe sono alte, ma, non dovendo preoccuparci di spendere migliaia di euro in aerei, noleggio dell'auto e tutte quelle cose noiose che fanno lievitare i costi di un viaggio on the road dall'altra parte del mondo, abbiamo deciso di viziarci. Tra l'altro, è un posto talmente bello che vale ogni singolo centesimo. Nei giorni in cui sono vi ho soggiornato, mi sono sforzata di trovarci un difetto, ma invano. Ogni volta che dicevo "ahh, manca questo", "aah, se ci fosse quest'altro", inevitabilmente l'oggetto in questione mi si materializzava davanti. Ve lo assicuro: appena arrivata, ho commesso l'errore di pensare "ahi, non c'è nemmeno un asciugamano grande" che, aprendo un cassetto, ne ho trovati cinque. 
L'appartamento che avevo prenotato era un gioiellino di 115m2, che vantava due camere da letto, due bagni e mezzo, salotto, cucina abitabile e una terrazza grande quanto casa mia, su cui bastava metter piede per sentirsi in pace col mondo. Per di più, era in una posizione perfetta, a pochi passi dal centro del paese (e vicino all'Eurospar, tant'è che giovedì sera, presa da un insensato momento di noia, ho annunciato 'Vabbuò, vado a fare un giro al supermercato' e ho perso mezz'ora a scegliere se fosse meglio comprare una vaschetta da 120gr di speck o da 140). 

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Di mattina, uscivo con l'Intrepida Mamma per andare a camminare nel verde dei boschi. Il primo giorno ci siamo imbattute in un allegro gruppetto di alpaca, che mi guardavano come se vedessero in me l'essere più disgustoso dell'universo (ma erano carini e ridicoli, quindi non me la sono presa). Tra l'altro, un'insegna descriveva il posto come un allevamento di "bio-alpaca" o qualcosa del genere. Alpaca biologici, comunque, perché, a quanto pare esistono pure quelli non biologici (??). Il secondo giorno abbiamo deciso di arrampicarci su una collina, fermandoci a conversare con un branco di mucche al pascolo, per poi inoltrarci in un bosco, finendo dentro un sacco di pozzanghere e, naturalmente fuori sentiero. O forse il sentiero era proprio quello e la vegetazione aveva semplicemente deciso di impossessarsene, trovando divertente farmi inciampare di continuo tra rovi e arbusti. 

A pranzo, recuperavamo CycloDad (no vabbeh, mio papà un giorno si è lamentato del fatto che a lui non ho affibbiato nessun soprannome e questo è il risultato), che aveva passato qualche ora a scorrazzare per le strade del Tirolo in sella alla sua bici, e affrontavamo la decisione più difficile che ci si potesse presentare in quei giorni: dove andiamo a mangiare? Anzi, peggio ancora: che cosa mangiamo oggi? Wiener schnitzel o wurstel e patate?, per poi rintanarci nel nostro meraviglioso appartamento e poltrire spudoratamente. Verso sera, se non eravamo troppo esausti da tutto quel relax (si sa che riposarsi stanca, no?), capitava che uscissimo a fare due passi in paese. Cenavamo con speck e baguette e passavamo il tempo giocando a carte o guardando terribili telefilm in russo, cercando di indovinare cosa dicessero gli attori e doppiandone le conversazioni. Nient'altro. Tutto lo stress, le beghe quotidiane, la fretta e la confusione erano rimaste a Vicenza e, inevitabilmente, qui le ho ritrovate. Questa mattina, mentre aspetto che il mio gatto (l'unica cosa che mi sia davvero mancata in questi ultimi giorni) si faccia vivo per fargli una coccolina e dargli dei buonissimi croccantini austriaci, mi sorge spontanea una sola domanda: ma chi me l'ha fatto fare di tornare a casa?! 







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