"Airports are such beautiful places!" - said no one ever.
Ebbene ciurma, oggi parliamo di aeroporti. O, per essere più precisi, di quella specifica branca della psicologia contemporanea che studia i cosiddetti traumi aeroportuali, ovvero quegli eventi particolarmente negativi, avvenuti all'interno di queste strutture di transito, che incidono sulla psiche del passeggero e fanno in modo che, porello, abbia un certo mix di fifa e ansiella ogni qualvolta vi debba mettere piede.
Chi più, chi meno, chi prima, chi poi, tutti siamo stati vittime di qualche disavventura o disgrazia che racconteremo ai nostri nipotini quando li vedremo partire per la loro prima gita scolastica all'estero e vorremo infondergli un po' di sano terrore.
Grazie alla mia ultradecennale esperienza in materia, ho deciso di stilare un elenco dei più comuni traumi:
Chi più, chi meno, chi prima, chi poi, tutti siamo stati vittime di qualche disavventura o disgrazia che racconteremo ai nostri nipotini quando li vedremo partire per la loro prima gita scolastica all'estero e vorremo infondergli un po' di sano terrore.
Grazie alla mia ultradecennale esperienza in materia, ho deciso di stilare un elenco dei più comuni traumi:
- Aereo cancellato/in ritardo di 2+ ore;
- Coincidenza stretta, tipo dover cambiare terminal al JFK in una trentina di minuti;
- Ispettori alla dogana convinti che tu sia un trafficante di droga (l'avete visto Airport Security su DMax, vero?) o un banalissimo terrorista, come quella volta che hanno fermato mio papà scambiando il profumo che aveva in valigia con una bomba a mano o qualcosa del genere;
- Valigia persa e spedita dall'altra parte del globo.
Tra tutti, il mio incubo peggioreè il numero 4. Accusatemi pure di contrabbandare metanfetamine, ma datemi la mia valigia. Puntualmente, tutte le volte che affido il mio trolley scassato ma altamente funzionale alla tizia del check-in, sento l'impulso di invocare tutti i santi, gli dei dell'Olimpo, il Buddha, i Kami shintoisti e chi più ne ha, più ne metta. Insomma, non riesco a rilassarmi finché non rivedo il famoso trolley blu fare a botte con un improbabile valigione zebrato su un nastro trasportatore dell'aeroporto di destinazione. Per lo più, le preghiere funzionano. Tuttavia, non sarei qui a scrivere questo post se, di tanto in tanto, le cose non fossero andate diversamente.
Il 26 dicembre di un paio di anni fa, atterro in uno dei quattro aeroporti di Londra, di cui non farò il nome per correttezza morale e perché non me lo ricordo nemmeno (amnesia post-traumatica, sì?). Dopo aver superato il controllo passaporto e aver dato modo agli ispettori britannici di accertare che io non sia una criminale, mi dirigo verso il nastro trasportatore destinato ai bagagli del mio volo. Lentamente, uno dopo l'altro, questi arrivano tutti. Tutti. Tutti. T-u-t-t-i. Tranne il mio. Cosa sospetta, peraltro, dato che, solitamente, vengono persi stock di valigie, non una sola. Piano piano, la sala si svuota e io resto lì, depressa e schiacciata dal peso del karma, tradita dai santi e senza più ben sapere chi invocare in mio soccorso. Già immagino il mio amato trolley blu sbarcare smarrito su una qualche spiaggia caraibica e trangugiare tequila per dimenticare il dolore di avermi persa. Spinta dall'ultima briciola di speranza, arranco agonizzante verso il banco dei bagagli smarriti. I didn't get my luggage, piagnucolo a un omino stempiato. Lui controlla qualcosa al pc e, sorpreso, afferma che tutte le valigie imbarcate sul volo XXX sono state consegnate. Una vocina dentro la mia testa gli dà cortesemente del pirla e gli faccio notare che a me non è stato consegnato proprio un fico secco. L'omino stempiato medita qualche secondo sul da farsi, si scusa e scompare dietro una porta. La vocina nella mia testa gli dà di nuovo del pirla, questa volta un po' meno cortesemente di prima (un'altra vocina le fa presente che non è colpa di quel poveretto se il mio trolley blu è finito a Cuba, ma lei non le presta molta attenzione). Tuttavia, qualche minuto più tardi, accade l'inaspettato. L'omino stempiato rispunta da dietro la porta e si dirige a passo svelto verso di me, trascinando il mio fedele compagno di viaggio, in un misto di imbarazzo e soddisfazione. Mi spiega velocemente che la valigia, una volta scaricata dall'aereo, era stata dimenticata nonsobenedove e non era stata immessa sul nastro trasportatore del ritiro bagagli. Vi lascio un minuto per riflettere su questa cosa.
Bene, riprendiamo. Non ricordo se l'EH?! che mi nasce spontaneo adesso mi sia uscito davvero. So per certo che la vocina dentro di me gli ha dato nuovamente del grandissimo pirla, prendendolo come capo espiatorio, mentre l'altra vocina già lo nominava senza indugio eroe e salvatore della patria. Quella sera, su un taxi diretto nel centro di Londra, la triste immagine del mio trolley blu ubriaco fradicio sul letto di un bungalow alle Antille veniva velocemente sostituita dall'inquietante pensiero del mio povero tesoro abbandonato a sé stesso nei meandri del terminal, ammaccato e infreddolito nell'umidiccio inverno britannico. Tutto è bene quel che finisce bene, insomma. E meno male che esistono gli ometti stempiati!
Su, su, ora voglio sentire le vostre disavventure aeroportuali. Un po' di terapia di gruppo non può che aiutare a superare i traumi, no?